Quando tornerò

Incontrare Victoria, ucraina residente da tempo a Taurianova, significa ascoltare la storia di vita di una donna che anni fa lasciò il proprio paese e la propria famiglia per avventurarsi in un qualcosa a lei sconosciuto. La storia di una donna coraggiosa e forte che si rialza ogni volta che cade per l’amore che prova per la sua famiglia.

Da quanto tempo è in Italia?

«Io sono in Italia da venti anni».

Come mai si è trasferita in Italia?

«Perché avevo bisogno di un lavoro. In Ucraina ero infermiera, ma non riuscivo ad andare avanti, quindi circa venti anni fa, così come tanti amici miei che purtroppo hanno deciso di emigrare, anche io sono andata via».

Qui in Italia che lavoro fa?

«Come tanti altri ho iniziato facendo la badante e lavorando al ristorante, ora faccio la domestica».

Mi potrebbe raccontare la sua storia, del lavoro, dell’integrazione, di come è stata accolta quando è arrivata in Italia, di come si è trovata?

«Sono sposata da quindici anni, faccio sacrifici e ho sempre lavorato tanto perché in Ucraina, all’epoca, lasciai mia mamma, mio figlio piccolo di nove anni e mia sorella minore. Per loro ho fatto i sacrifici, ho fatto quello che di solito fa un uomo in famiglia. Ho mantenuto mia sorella, l’ho fatta studiare, si è sposata e ho fatto in modo che si trasferisse in America. Ho fatto laureare mio figlio, l’ho fatto crescere, ho badato a mia madre che, grazie a me, è riuscita per ben due volte a guarire da una grave malattia. Ora in Ucraina c’è una guerra. La paura che non mi abbandona mai è il pensiero di non vedere più i miei cari perché la distanza è tanta, troppa. È molto triste».

Ha lasciato tutti i suoi affetti in Ucraina?

«Purtroppo sì, vita, destino, sacrifici, non so come posso dire. Io sono un tipo di persona che mantiene la parola, quindi se io dico: «Figlio mio, a te non mancherà niente! Sì, ti manca fisicamente la mamma, ma a te amore mio non mancherà nient’altro!». Forse per questo la gente mi tratta bene, mi dà lavoro. Perché io vivo per la mia famiglia. Ognuno a modo proprio fa sacrifici e il mio modo è questo».

Come si è sentita quando è venuta a sapere della guerra?

«Io fino alla fine non ci volevo credere: già dal due febbraio mia sorella, che vive in America, mi aveva avvertita dicendomi che sarebbe scoppiata la guerra ed insisteva perché portassi mia madre in Italia. Ho cercato di rimuovere l’idea, avevo questa paura nel mio cervello, nascosta in un posto dove tu metti quei timori che vuoi scongiurare. Poi, dalle 4.30 del 24 febbraio, sono rimasta seduta in mezzo al letto per un giorno e mezzo, da subito non ho pianto, ho iniziato a tremare, mi è venuta una specie di nevralgia. Non capivo cosa stesse succedendo, non sapevo se chiamare mio figlio o mia madre, perché la mia città, da Kiev, dista solo 350 km, quindi ho pensato che subito dopo Kiev sarebbe toccato alla mia città. Mi sono sentita avvolta da una sensazione di panico. Questa notizia mi è giunta come una bomba, perché li ci sono i miei cari, in particolare mio figlio, che produce divise e accessori per i militari, poiché è un sarto titolare della sua attività.

Di conseguenza mia madre, che per vent’anni ha cresciuto mio figlio come fosse il suo, mi ha detto che non lo avrebbe lasciato da solo, quindi anche lei sarebbe rimasta, così come anche la sua fidanzata. A pensarli tutti là mi sto esaurendo perché non trovo pace, né tranquillità, come qualsiasi altra persona che ha i propri cari in Ucraina».

Quindi i suoi non hanno intenzione di venire qui in Italia?

«Nonostante ci sia la possibilità di venire qua, come sono venuti in tanti, mia madre non si sposta perché ha 73 anni e non vuole lasciare mio figlio Andrea».

Lei ha condiviso questa scelta?

«Da un lato, al loro posto, avrei fatto la stessa cosa, perché i figli non si lasciano. Se però io avessi avuto un figlio piccolo sarei andata via come hanno fatto tante donne. Mio figlio ha 30 anni e non si può dare ordini ad un uomo adulto, che vuole restare nella propria terra».

Vorrebbe raggiungerli?

«Certo! Vorrei partire, ma purtroppo loro tutti mi dicono di non andare perché tutte le strade e tutti i ponti verso casa mia sono distrutti, quindi io rischierei perché vengono lanciati continuamente dei razzi. Ti ammazzano per strada, non arriveresti mai, hai visto quanti bambini e quanti civili vengono uccisi per strada?».

Si sta tenendo costantemente in contatto con la sua famiglia?

«Aspetto sempre notizie. Anche in questo momento sto aspettando notizie».

In che modo vi sostenete vicendevolmente?

«Sono rimasta per i primi tre giorni senza mangiare né dormire, piangendo. Ero depressa, guardavo continuamente la televisione. Poi, i parenti di mio marito mi hanno fatto uscire, e ho capito che se fossi rimasta a casa sarebbe stato peggio per me. Allora cerco di lavorare. Cos’altro posso fare?»

Riescono a dormire i suoi?

«I miei fanno i turni. Mia madre non dorme la notte e allora dormono i ragazzi, lei invece cerca di dormire di giorno, quando loro sono svegli. Io da qui la notte, massimo ogni due ore, mi sveglio e le mando i messaggi per chiedere come stanno. Non esiste altro pensiero e non esiste né notte né giorno».

 Secondo lei perché è scoppiata la guerra?

«Qualunque sia il motivo, bisogna risolverlo con la diplomazia, parlandone, perché la guerra non è un metodo per risolverlo. Da noi in Ucraina è dal 2014 che è iniziata la guerra, Crimea, Donbass, Lugask: da allora sono passati anni con questa guerra, in silenzio. Spari, bombe, razzi, violenza, morti».

Sarebbe giusto arrendersi?

«L’Ucraina non si arrenderà mai, noi abbiamo la testa molto dura».

Quindi in TV raccontano notizie diverse dalla realtà?

«Sì, molto diverse. Lo so perché il nostro popolo non si arrende: se per esempio in qualche paesino arrivano i russi e cercano di dare ordini, uomini, anziani, bambini, donne a mani nude fermano le truppe dei russi, a mani nude li mandano fuori e cantano e ballano, fanno manifestazioni, scioperi. Più fanno del male al nostro popolo più si rialza, con la schiena dritta, più ci vogliono piegare e più noi alziamo la testa».

Secondo lei si sarebbe potuta evitare la guerra?

«Il mondo cercava di evitarla. Ma Putin è muto, sordo e cieco. Secondo me è diventato un pazzo malato, lui pensava che la sua offensiva potesse risolversi in pochi giorni, invece è passato già tanto tempo. Non si aspettava che il nostro popolo fosse forte, unito e adesso anche arrabbiato. Il nostro popolo è stato aiutato dall’America, dall’Europa, con le armi, per questo adesso Putin è ancora più arrabbiato. Speriamo finisca presto, io non perdo la speranza che finisca tutto bene per noi».

Il resto del mondo, che sta guardando tutto ciò, potrebbe fare qualcosa?

«Una cosa che potrebbe fare è quella di chiudere il cielo agli aerei di Putin, perché lanciano bombe, razzi. La mia famiglia non ha un posto per nascondersi, sono chiusi dentro casa e mio figlio sta continuando a lavorare in uno stabile al quinto piano. Mia mamma e mia nuora stanno a casa, e pregano».

Lei sta aiutando tante persone a scappare…

«Cerco di aiutare con medicine e altro».

Come arrivano?

«Arrivano da viaggi molto faticosi anche di tre giorni, prima con la macchina, poi con il pullman, poi con il treno, poi di nuovo con la macchina, poi con l’aereo. Qui, a San Martino, sono arrivate da poco tre persone, e sto cercando di aiutarle» .

Ma arrivano principalmente donne e bambini?

«Sì! Arrivano donne, bambini, anziani».

Qual è il suo desiderio più grande in questo momento?

«È unico, come forse per tutti, che finisca. Ogni mattina, mi alzo e guardo i notiziari sul telefono, e il mio unico desiderio è sapere che la guerra è finita».

Quando finirà, tornerà in Ucraina?

«Appena possibile, sì. Scappo, non vedo l’ora di abbracciare i miei e spero il prima possibile. Vorrei abbracciarli, stringerli, ho in testa queste immagini di morti, non riesco a guardarle senza piangere».

 

 Brigida Martino