Il malessere interno

Il Liceo Scientifico “M. Guerrisi”, analogamente a molte  realtà scolastiche, ha accolto anche quest’anno la possibilità di potenziare lo sportello d’ascolto  in relazione al protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione e il Consiglio Nazionale dell’ Ordine degli Psicologi. Secondo un sondaggio realizzato dall’Unicef tra ragazzi e ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni a conclusione del primo lockdown, un adolescente su tre chiede maggiori reti di ascolto e supporto psicologico (Unicef Italia, 2020). Affinché si possa compensare questa mancanza espressa, si è deciso di approvare la richiesta di accesso a servizi di psicologia e psicoterapia col fine di “potenziare l’assistenza per il benessere mentale individuale e collettivo”, come affermato nel Decreto Milleproroghe. La dott.ssa Vincenza Fera, presente nel nostro Istituto in qualità di psicoterapeuta, ha accettato di rispondere ad alcune domande, fornendo un quadro generale della situazione presente nella scuola.

Come vorrebbe presentarsi alle ragazze e ai ragazzi del nostro Istituto e quale messaggio vorrebbe mandargli?

«Mi presento come Enza Fera. Lavoro molto con la relazione, sono calorosa e accogliente, non mi piacerebbe essere vista come una figura distante o che si limita ad osservare: mi piace stare in mezzo ai ragazzi e non dall’altra parte. Mi presenterei come una donna che ama il suo lavoro e che lo svolge con molta passione.  Incontrare una persona è qualcosa che mi appaga, perché mi permette di conoscere il suo mondo, e questo è bellissimo. Mi sento molto arricchita da ogni incontro: conoscere la storia degli altri per me ha un valore inestimabile, mi interessano tutte allo stesso modo e ci metto la stessa cura. Sono grata di questo dono e lo custodisco gelosamente».

 

In che modo, secondo lei, la pandemia ha aggravato il disagio adolescenziale e quanto ha pesato la didattica a distanza?

«L’adolescenza è una fase molto delicata, poiché ci si allontana dai modelli genitoriali per creare la propria identità attraverso il relazionarsi col gruppo dei pari. Ciò non è potuto avvenire concretamente durante la pandemia a causa delle restrizioni imposte. Le capacità adattive e di gestione emotiva richieste sono state fondamentali e difficili da metabolizzare. La dad rappresenta un filtro verso i rapporti sociali e il contatto diretto con i propri coetanei».

Quali sono le difficoltà più comuni riscontrate nei suoi colloqui?

«Ansia e attacchi di panico sono i problemi più comuni nei pazienti, causati o aggravati dal periodo instabile della pandemia e dall’imprevedibilità del quotidiano. Esse hanno influito maggiormente sui disturbi ossessivi compulsivi o sulla capacità di relazionarsi nell’ambito sociale, nonostante il problema fosse già presente e non legato unicamente alla pandemia: questa potrebbe, però, anche essere la causa scatenante di iniziali difficoltà nella gestione di rapporti o situazioni estranee all’ordinarietà».

Com’è possibile affrontare le varie problematiche?

«Consiglio un percorso di psicoterapia nel caso di dinamiche interne che possano causare ad una persona disturbi come quello dell’ansia, soprattutto in situazioni nuove e inaspettate. Queste potrebbero derivare da un attaccamento alla figura genitoriale, che nell’infanzia ha limitato le nostre possibilità di esplorazione e quindi determinato un’incapacità successiva anche nella fase adulta. Lo psicoterapeuta che, invece, risponde con incoraggiamento e rassicurazione, può determinare il responso a questi ostacoli. Le tecniche di desensibilizzazione progressiva o sistematica, che nell’immediato vanno ad aiutare la gestione del problema, richiedono un percorso più complesso per comprendere le cause ed affrontarle al meglio».

In che modo la scuola, la famiglia e gli adulti in generale  possono aiutare?

«La scuola potrebbe aiutare in primis i docenti, coloro che trascorrono più tempo con i ragazzi, a sviluppare delle tecniche di comunicazione, di ascolto attivo, in modo da accogliere il più possibile le esigenze e i bisogni diversi degli alunni. Bisogna affinare la capacità di riconoscere se oltre a una difficoltà scolastica di apprendimento ci sia anche una difficoltà di tipo emotivo, perché dietro un atteggiamento svogliato c’è sempre un disagio. Ci sono ragazzi con un ottimo quoziente intellettivo: Einstein, ad esempio, era dislessico e veniva considerato uno stupido dai suoi insegnanti, ma aveva semplicemente un disturbo specifico dell’apprendimento. Per quanto riguarda i genitori, consiglierei il “parent training”, una tecnica che ha lo scopo di insegnare a comprendere cosa attraversa un adolescente, migliorando le modalità di comunicazione e di ascolto attivo».

Ha riscontrato un tabù nei ragazzi e nella loro considerazione della sua professione?

«Nei ragazzi no, eccetto rari casi sicuramente influenzati da figure di riferimento appartenenti ad altre generazioni, che vedevano lo psicologo come il “medico dei pazzi”. Talvolta sento ancora dire che chi si rivolge ad uno psicologo è considerato un folle o un debole, in realtà le persone che si mettono in discussione sono molto forti perché cercano di conoscersi in profondità e questo non è mica semplice. Una volta, in una scuola primaria, ho chiesto a una bambina di sette anni: “Sai che cosa fanno gli psicologi?” La sua risposta mi è rimasta nel cuore: “Sì, certo, aiutano le persone ad essere felici”. Questo mi ha fatto capire che il pregiudizio non parte dai ragazzi, ma dalla loro cultura, dal contesto in cui crescono; loro sono molto più aperti rispetto agli adulti. Fortunatamente la situazione sta cambiando in meglio e sono sempre di più le persone di qualsiasi fascia di età che vogliono rivolgersi a me».

Cosa direbbe a coloro che non trovano il coraggio di chiedere aiuto?

«Chiedere aiuto è sinonimo di forza, vuol dire riconoscere che c’è una difficoltà e volerne uscire, voler fare qualcosa per risolverla. Va sempre chiesto aiuto, non bisogna mai tenere tutto dentro e non dev’essere una vergogna o sinonimo di malessere grave».

Quando si può iniziare a prendere in considerazione l’idea di avere un colloquio con lei?

«Non c’è un momento preciso. Molti pensano che si debbano rivolgere a me quando hanno una condizione di disagio come attacchi di panico, depressione o altri disturbi di natura psicologica, ma in realtà ogni momento è buono per avere un incontro. Come si va in palestra a fare sport per prendersi cura del proprio corpo per il benessere fisico, andare dallo psicologo equivale a una “palestra della mente”. Per liberarsi, comprendersi, migliorarsi ed essere consapevoli delle proprie emozioni».

 Giada Agostino Ester Corso

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